Intervista alla scrittrice romana Anna Cantagallo, autrice di “Arazzo Familiare”
“Arazzo Familiare” (Castelvecchi), è il romanzo con cui Anna Cantagallo, scrittrice romana, è candidata al Premio Campiello 2021. Una saga al femminile, costruita in un gioco sapiente di piani temporali, ricca di colpi di scena e intriganti segreti. Ecco tutto quello che c’è da sapere sul nuovo libro.
Qual è stata la scintilla che l’ha portata a scrivere “Arazzo Familiare”?
Nel periodo maturo della mia vita, ragionando sul tema della consapevolezza della donna d’oggi, mi ero ripromessa di scriverne. Non essendo una saggista, ho pensato di ricercare la genealogia del percorso femminile immaginando una saga familiare. Questa modalità mi ha permesso di andare indietro nel tempo di tre generazioni, nella convinzione che la donna d’oggi gode dei frutti delle conquiste dei diritti sociali negli anni Settanta, come il divorzio e l’aborto, ma anche delle lotte fatte in casa da donne comuni che l’hanno preceduta. Volevo parlare di queste donne nello scrivere la storia di Maricò, Marilì e Marigiò, (nonna, mamma, figlia) le cui vite si interfacciano con gli avvenimenti importanti del Novecento. Le due guerre mondiali e i moti del ’68 sono state situazioni drammatiche ma, in un qualche modo, anche favorenti per il percorso della consapevolezza femminile.
Le protagoniste del romanzo Maricò, Marilì e Marigiò (nonna, madre e figlia) appartengono a tre generazioni diverse. Qual è il messaggio che vuole che arrivi al lettore?
Ciascuna delle tre protagoniste è la rappresentazione del periodo storico in cui è collocata. Maricò vive in un paese dell’Abruzzo, subendo l’autorità paterna come era abituale agli inizi del Novecento ma, da adulta, riesce a fare una scelta originale per la sua autonomia. Marilì, nata sotto il fascismo, deve ingegnarsi per sopravvivere durante la Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra per mantenere la famiglia. Marigiò vive appieno i moti del ’68 riuscendo a realizzare il suo sogno di diventare medico ma con il fardello della rinuncia a sua figlia. Queste donne così diverse sono simili per una condizione: il lavoro. La nonna è stata obbligata dal padre, già da giovanissima, a fare la dama di compagnia di una nobile sua coetanea e poi, al matrimonio di questa, ad affiancare il medico del paese come assistente. La madre, dopo l’abbandono del marito, rispolvera il suo diploma di infermiera, mettendosi a lavorare per evitare ai figli l’uscita precoce dalla scuola. Ha ben chiaro che attraverso lo studio si apriranno opportunità di lavoro migliori e meglio remunerate. La donna dell’ultima generazione, cioè la figlia, realizzerà questo percorso verso l’autonomia.
Il messaggio che mi piacerebbe che arrivasse potrebbe sembrare ovvio alle giovani d’oggi: non sprecare l’opportunità che può dare lo studio solo perché sembra così facile accedervi. Nel romanzo si può osservare che così non è stato in passato. Solo cento anni fa, per le donne – e non per tutte- era previsto solo un’infarinatura di cultura generale tanto per saper leggere o far di conto. I lavori che con questa bassissima scolarità le donne potevano fare onestamente erano quelle delle “braccia”, diventando domestiche, contadine, sarte o operaie in fabbrica. Chi riusciva a studiare qualche anno in più poteva diventare insegnante elementare o istitutrice. Si lavorava per aiutare in casa e non per vivere da sole. L’unica condizione socialmente accettabile era il matrimonio con la conseguente dipendenza economica. Chissà se è stata raccontata, dalle generazioni precedenti, l’umiliazione giornaliera della donna nel ricevere i soldi della spesa, contati al centesimo, dal capo famiglia perché non aveva l’indipendenza economica.
L’altro messaggio è conseguenziale al primo: lottare affinché le capacità acquisite con lo studio siano riconosciute con un lavoro adeguato e giustamente remunerato.
La piena consapevolezza di sé va a braccetto con l’autonomia economica.
La copertina è molto particolare, come è stata scelta?
La scelta è stata concordata con la redazione con l’intento di ispirare nel lettore, già al primo sguardo, un’idea di favolistico. L’immagine della copertina anticipa il colpo di scena finale dell’agnizione, ma si collega anche con la premessa che parla di un’Entità che intreccia le vite di queste donne come fossero i fili di un arazzo.
Chi è la prima persona che legge quello che scrive?
Mio marito, compagno di vita da sempre, è il primo a leggere quello che scrivo. Con lui mi confronto su alcuni argomenti perché è sempre utile e interessante ascoltare un punto di vista diverso. Anche se ci conosciamo molto bene, è bello vedere la sorpresa sul suo viso quando qualcosa di inaspettato nei miei scritti lo colpisce. Per me è come un test a campione minimo per immaginare la reazione dei lettori. La sua vicinanza è un grande incoraggiamento.
Grazie per il tempo che mi ha dedicato per questa intervista, c’é qualcosa che vorrebbe dire ai lettori di Fix On Magazine?
La lettura è un grande conforto nei periodi difficili. Immergersi in altri mondi, attraverso storie apparentemente a lontane nel tempo e nei luoghi, aiuta a liberare la fantasia e a attenuare il timore per il futuro.